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Oggi la Kokeshi Blu, per la rubrica “Parole di incanto e inchiostro simpatico”, intervista Loredana De Vita autrice del  libro “Ali per volare” (Guida Editori).

L’Autrice pone, con estrema generosità, il suo vissuto e la sua sensibilità al servizio degli altri e delle donne in particolar modo, lanciando al lettore un messaggio di forza, di solidarietà e di speranza.

Il cancro, malattia che sconvolge tutti gli equilibri personali e affettivi, è al centro di questo diario di bordo atipico che diventa mezzo e ponte ideale per arrivare all’altro, senza paure né pregiudizi. La consapevolezza di “avere” una malattia e non di “essere” una malattia, è il principio di un’avventura straordinaria che si trasforma in racconto di formazione alla (ri)scoperta del Bello e della propria forza. Un’opera che ha la forza evocativa di un haiku e che ci ricorda la preziosità di ogni istante.

Come scrive Enza D’Esculapio nella sua recensione per Zona grigia: “Nello scorrere delle pagine, fitte di riflessioni sul tempo e la sua caducità, sulla bellezza del creato, sul valore delle piccole cose quotidiane, sull’amore e la gioia della famiglia, sulla fragilità dell’Uomo in quanto essere finito, il lettore quasi dimentica che chi sta scrivendo è logorato nel fisico, perché lo spirito che anima le parole si eleva, prende le distanze da se stesso per aprirsi con leggerezza e serenità e donarsi agli altri”.

Loredana De Vita, napoletana, già docente di Lingua e letteratura inglese si è occupata di tematiche giovanili e di quelle relative alle donne. La sua produzione spazia dalla saggistica al romanzo. Per Armando editore ha pubblicato: Conversazione con chi ama la scuola (2009), Genitori senza controllo (2010), Altro non siamo che voce (2011). Per Nulla die ha pubblicato: Donna a metà (2014), Oltre lo specchio. Immagini e cultura del femminile (2015) e alcuni romanzi tra cui Non scavalcare quel muro (2017) e Giulia (2021).

Ciao Loredana. Vuoi raccontarci un po’ di te e di “Ali per volare”, un libro che io definisco un meraviglioso volo pindarico a metà strada tra il racconto autobiografico e il romanzo di formazione legato al cammino dell’eroe.

Ciao, grazie per l’accoglienza, è una carezza che lenisce il dolore e dona speranza. Che dire, ho insegnato lingua e letteratura inglese per 28 anni, dedicarmi ai ragazzi mi ha insegnato tanto e mi ha spronato a cercare nella cultura un significato che arrivasse al cuore della persona e della sua formazione. Contemporaneamente, mi dedicavo alla scrittura toccando temi di attualità sia nei saggi che nei romanzi -adolescenza, relazione genitori figli, relazione donne e uomini, la violenza domestica, la migrazione, la violenza psicologica sulle donne. Insomma, ho sempre creduto che testimoniare più che parlare soltanto di tali temi fosse un buon viatico per una necessaria rivoluzione culturale che aiuti a guardare all’essenza della realtà e non alla sua apparenza. Sono solo una piccola cosa, non posso cambiare il mondo, ma posso e voglio fare la mia parte. Poi, nel settembre del 2021, ho scoperto di avere un tumore ovarico al terzo stadio avanzato, un passo dalla morte, dunque. Dopo l’intervento è stato chiaro che la situazione era drammatica e che solo la chemioterapia e i nuovi farmaci avrebbero potuto darmi maggiori aspettative di vita o almeno provarci. Non mi sono arresa, il mio amore per il significato della vita e della testimonianza è diventato il leit motiv della mia resistenza, così nasce “Ali per volare” che riflette la consapevolezza della gravità della propria condizione, ma anche il coraggio e la perseveranza di non tradire i valori in cui ho sempre creduto. Ho provato l’esigenza di dare voce al silenzio che circonda i malati di cancro quasi fossero già morti, di ricordare ai malati e a quanti gli sono attorno che il cancro, per quanto terribile, non annienta la persona che si è e che bisogna continuare a essere per non morire dentro prima di morire fuori. Inoltre, volevo dare voce anche alla speranza della ricerca.

Vogliamo anche ricordare ai nostri lettori, la finalità, nobilissima, di questo progetto artistico?

Sì, infatti, come dicevo, è fondamentale sostenere la ricerca in ogni modo. Se io sono ancora qui è perché la ricerca ha portato alla conoscenza di un farmaco che non guarisce, che ha anche conseguenze dolorose, ma che prova a cronicizzare le recidive, nel mio caso altamente possibili visto che ci sono cellule tumorali in circolazione nel mio corpo. Così, “Ali per volare” risponde anche all’esigenza di essere quella piccola goccia in un oceano infinito per sostenere la ricerca contro il cancro, in particolare contro il tumore ovarico, uno dei più aggressivi e anche uno di quelli che spesso si scoprono quando è troppo tardi. Per concretizzare questa goccia, poiché è sempre meglio una goccia in più che una in meno, l’intero ricavato dei miei diritti di autore sarà devoluto a questo scopo alla ACTO (Alleanza Contro il Tumore Ovarico).

Il titolo del libro è una sfida che tu lanci a te stessa e al prossimo, un monito a danzare anche durante la tempesta. La ricetta della felicità per Loredana?

È una sfida, è vero, alla rassegnazione, alla perdita della propria rotta. “Ali per volare” vuole ricordare che se anche il mio corpo è ferito e fa fatica a vivere, c’è il mio pensiero che riesce a volare alto, che non si spegne e che cerca orizzonti in cui continuare a esercitare la propria presenza nel tempo e nello spazio. Io non sono il cancro, io “ho” il cancro e lo “indosso” con dignità senza dimenticare di essere una “persona” non una malattia. Il riferimento “Ali per volare” è a Frida Kahlo che, nella sua condizione di malata, si ispirava allo stesso principio di libertà del pensiero.

Nel tuo libro si parla di malattia ma anche di speranza e della necessità di considerare, nel percorso terapeutico, la persona nella sua complessità, non solo il “malato”. La buona comunicazione quanto è importante quando si parla di malattia?

Io comprendo che sia difficile porsi accanto a un malato, soprattutto se di una malattia di tale gravità come il cancro e altre malattie che lasciano intravedere la morte e una morte dolorosa. Lo comprendo, ma il malato vive la vita e vive la malattia, se si parla di lui/lei in terza persona si commette un errore grave; se si parla al posto del malato, si commette un errore grave; se al malato ci si riferisce solo nel contesto dei dolori e delle medicine, si commette un errore grave. Il malato è una persona con una storia, una dignità, un dolore da comunicare, certo, ma anche la perseveranza e la forza della propria resistenza. Il malato non è un essere che impietosisce, ma una persona che con faticosa tenacia continua a dare una direzione alla propria vita. La comunicazione è fondamentale, se il malato percepisce di stare diventando un estraneo o un assente, il suo dolore aumenta, lo smarrimento si acuisce, la solitudine spegne quella piccola luce di speranza che deve accompagnarne la vita non la morte.

Quanto possiamo fare e quanto ancora dobbiamo fare in termini di ricerca e di prevenzione?

Bisogna fare tantissimo, lo Stato dovrebbe fare tantissimo. La forza dell’individuo e quella dello Stato insieme possono favorire un futuro migliore per chi soffre e migliorare non solo le aspettative di vita per chi si è ammalato, ma prevenire l’insorgere delle malattie. La ricerca è fondamentale sia per il trattamento della malattia che per la sua prevenzione, per questo è un imperativo che lo Stato sostenga la ricerca e la prevenzione. Io faccio controlli settimanali e spesso mi scontro con il blocco della sovvenzione per i controlli, anche costosissimi, cui la legge mi dà diritto di accedere gratuitamente. Quanti si trovano nella condizione di non poter pagare tali controlli nel periodo del blocco? Quanti possono effettuare controlli di prevenzione senza dover aspettare mesi e mesi se non si può pagare privatamente? Quanti si ricordano che questi ritardi (e l’assenza di controlli) possono costituire la base di quel “è troppo tardi” che spesso il malato deve affrontare? Ecco, tutto questo non dovrebbe accadere, tutti dovremmo poter accedere facilmente ai controlli necessari e senza timore di dover scegliere se indebitarsi per accedere alla cura o lasciarsi morire.

La malattia ti impone di definirti, di costruirti e di de-costruirti, di reinventarti. Un po’ come avviene con le opere cubiste di Picasso. Che cosa ti senti di dire a chi, per ragioni diverse, vive sulla propria pelle questa sfida ogni giorno?

La malattia cambia, ma come cambiare è una scelta della persona. Immediatamente, alla scoperta del mio cancro, ho percepito che tutto sarebbe cambiato. Sono sempre stata una persona molto indipendente, ora dipendo dai farmaci, dai dolori, dalle persone. In un primo momento questo è stato drammatico per me, poi ho scelto di dare valore anche al dolore. Ho scoperto la pazienza della sopportazione e dei tempi diversi che il mio corpo richiede per muoversi; per esempio, a causa della recisione dei nervi nelle gambe, faccio fatica a camminare e soprattutto a salire anche il gradino più basso; oppure, le mani si stancano facilmente, la schiena duole, e potrei continuare. Eppure, ho scoperto che potevo affrontare questa nuova me stessa con il coraggio di sempre, con la passione di sempre, con la curiosità di sempre. Quello che vorrei dire a chi vive sofferenze così acute non è solo di non arrendersi ma di vivere, di trovare dentro di sé tutte quelle meravigliose piccole scoperte che magari avevamo dimenticato. C’è tanta forza nel cuore delle persone e nel pensiero ed è questo ciò che può guidarci a non avvilirci e a non perdere il senso di sé.

Il tuo libro parla anche di memoria e di una malinconia propositiva. C’è un senso delle cose che cola come pioggia ristoratrice dai ricordi e ti spinge a inseguire i tuoi sogni, a non arrenderti. Sei d’accordo?

Sì. La malinconia è fermento non abbattimento. Sono tanti i momenti in cui penso alle persone che non ci sono più e che mi sono care, penso anche al desiderio di ricongiungermi presto con loro, di ritrovarle. Oppure, mi immalinconisco perché mi dispiace non essere riuscita a fare qualcosa che sognavo di fare. Ecco, tutto questo -nostalgia, sogni, memorie- diventano per me lievito per costruire il mio presente, non importa quanto sarà lungo. L’eternità delle persone si costruisce ora, non quando si è morti, lasciare un segno di sé che dia il sorriso, la serenità, dolci memorie, questo è il mio obiettivo. Voglio poter sperare che, un domani, quando qualcuno penserà a me lo farà nel sorriso e nella malinconia dolce che crea teneri sogni.

La magia del Natale consiste anche nel credere, nel sognare e nel donare. Tre verbi che sono la cifra stilistica del tuo lavoro. E quali sono i tre motivi per regalare “Ali per volare”?

Sostenere la ricerca, indubbiamente. Ricongiungersi  con sé stessi anche nel dolore. Gioire del dono della vita che canta e danza insieme a noi.

Io dico sempre che le parole sono belle ma gli esempi trascinano e il tuo dona luce nella sofferenza e forza a tutti noi. Grazie Loredana, per questa testimonianza preziosa.

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