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I racconti della kokeshi

di Eleonora Belfiore

Faceva caldo quel giorno. Del resto, che cosa ci si poteva aspettare di diverso da una giornata di agosto?, si domandò tra una elucubrazione e l’altra Marta. Eppure, c’era qualcosa di diverso, di angosciante, in quel caldo che si attaccava alla mente, ai pensieri, al cuore. Soprattutto a quello.
Dal momento in cui avevano messo piede nella Lancia Flavia azzurra, Marta si era sentita smaniosa, come se le mancasse il respiro. Si sentiva quasi un animale in trappola.
Maledette ferie d’agosto! Le odiava, le aveva sempre odiate.
Non ne poteva più. Delle vacanze, della sua vita apparentemente perfetta, delle immancabili collane di perle, degli eleganti tubini neri – proprio come quello che portava adesso e che, insieme ai grandi occhiali neri, neri come i suoi capelli raccolti in un morbido chignon, la facevano sembrare una consumata diva di Hollywood – , delle convenzioni sociali, di quel marito più grande di lei che aveva sposato subito dopo la guerra perché altro non le restava. Era stanca persino dei figli. Michela e Giuliano non riempivano le sue giornate, e a differenza delle sue amiche non percepiva un vuoto cosmico quando i suoi pargoli erano lontano da lei. Voleva loro bene, certo. Tuttavia, si sentiva diversa dalle altre madri. E non provava vergogna per questo. Non provava più niente. Solo per… lui, tornava ad accendersi.
Lo aveva conosciuto ad una mostra, il suo Claudio. Avevano scambiato alcune parole a proposito di un quadro realizzato da un giovane artista, che doveva farsi le ossa ma che prometteva bene, e verso il quale nutrivano un differente e inconciliabile punto di vista. Lei lo aveva dapprima detestato il suo Claudio! Come si permetteva, lui, un estraneo, di mettere in discussione il suo parere?! Dannazione, era laureata in Storia dell’Arte e sapeva riconoscere il valore di un’opera anche se non aveva mai lavorato in una galleria! Si erano lasciati in malo modo di fronte al feticcio della discordia, trovandosi reciprocamente detestabili. Poi, Marta era uscita, si era infilata nella sua macchina, chiedendosi se nella vita non avesse sbagliato tutto. Doveva seguire il consiglio della sua amica, Rosa. Doveva partire con lei per gli States e tentare la fortuna in una galleria d’arte. Aveva talento per quel genere di passatempo per ricche signore, come era solita dirle la sua amica con una punta di lieve disprezzo, una rivalsa tipicamente femminile, di quelle che mettono a tacere le insicurezze che una donna ha nei confronti di un’altra. Dell’altra. C’è sempre un’altra negli incubi di una donzella, una nemica da sconfiggere. Persino quando ha il volto di un’amica. Anche quando è un demone che esiste solo nella nostra mente. Chissà perché… , si ritrovò a pensare con tristezza Marta. E chissà che fine aveva fatto Rosa. Si erano scritte per un po’ dopo il suo trasferimento a Chicago. Certo che a lei era andata proprio bene…

Marta, invece, era stata più sfortunata. O semplicemente più sprovveduta. Lo aveva conosciuto pure lei un soldato americano. Ed era rimasta incinta. Finita la guerra e scoperta la gravidanza, il suo amante era sparito. Una storia ordinaria. Poi, era arrivato Gustavo. Era un industriale, uno di quelli che, nella vita, riuscivano sempre a cadere in piedi. Aveva fatto, nuova, fortuna con l’arrivo degli Americani. Non era bello, ma avevo quel certo fascino intelligente che poteva valere il doppio, se usato bene e al momento giusto. Conosceva Marta sin da quando era una ragazzina, si era ritrovato spesso ad aiutare economicamente la sua famiglia. Quando aveva scoperto di essere incinta, Marta era andata da lui, in lacrime. Gustavo era un uomo di mondo, aveva una mentalità aperta. Le aveva offerto anche dei soldi per… Lui conosceva un dottore, un bravo dottore, che faceva quel tipo di intervento..

Come se avesse capito tutto, il bambino decise di togliere il disturbo qualche ora dopo. Aborto spontaneo. E tenuto ovviamente nascosto a tutti Tranne che a Gustavo. La portò lo stesso da un medico, per farla visitare. Alla fine, il suo utero ostile aveva deciso per lei. Allora, avrebbe potuto raggiungere ugualmente Rosa, rifarsi una vita. Ma suo padre si era ammalato, c’era la fame… E Gustavo si era dichiarato. Era sempre stato lì. Pronto ad aiutarla, a risolvere i suoi problemi. Lui non pretendeva una moglie innamorata. Solo una donna intelligente, senza grilli per la testa. Colta, devota e rispettabile. E lei, Marta, con un po’ d’aiuto, poteva esserlo ancora. Rispettabile. Si erano sposati nel 1946. I figli erano arrivati qualche anno dopo.

Ed immersa nel suo passato, non si era quasi accorta che era scoppiato un gran bel acquazzone! Eh sì, il saggio Gustavo, l’uomo che aveva sposato con poco trasporto in quel tumultuoso 1946, aveva previsto anche quel diluvio e adesso l’avrebbe rimproverata come una bambina stupida e capricciosa per quell’imprudenza. Uscire di casa con un cielo così grigio e minaccioso! Ma lei in casa ci moriva e questo, il saggio Gustavo, lo ignorava. Volutamente o meno, Marta non avrebbe saputo dirlo. E non aveva importanza. Fu così che Claudio si era avvicinato alla macchina, spaventandola a morte. Non lo aveva riconosciuto subito. Lo aveva cacciato di nuovo in malo modo, ma lui non si era lasciato intimorire. Una battuta scherzosa aveva stemperato gli animi, il trench fradicio e i capelli grondanti di pioggia avevano fatto il resto. Claudio le disse che ci sapeva fare con i motori, era stato un meccanico a suo tempo. E si era messo all’opera nonostante il diluvio!
Marta lo aveva fatto salire nella sua auto, finalmente riparata. Gli aveva dato un asciugamano che il previdente Gustavo era solito lasciarle lì, durante i mesi uggiosi, perché come diceva lui: “Può sempre tornare utile”. Lui si era asciugato i capelli e la faccia, alla meglio. Aveva un magnifico sorriso e due occhi intelligenti, Marta non era riuscita a notarlo prima, nella galleria, presa dal suo livore artistico. Ma adesso, lo vedeva per davvero. Avevano parlato a lungo. Anche di politica. Lui le aveva rubato una carezza. Erano diventati amanti qualche settimana dopo…


Maledette ferie, che la portavano via dal suo unico grande amore! Marta era a pezzi.
Un mese al Forte dei Marmi, per rivedere visi patinati, per ascoltare le stesse parole, battute di un brutto copione, simbolo di una vita borghese che si trascinava inesorabile nella noia e senza la quale, pur tuttavia, tutto le sembrava vano. Anche quella passione fedifraga, tormentata, che viveva come un’adolescente nell’appartamento di lui, scrittore impegnato, così distante dal mondo dei Parioli, rubando attimi alla sua famiglia. Claudio lo sapeva che era una storia senza futuro. Per questo, l’aveva lasciata poco prima delle vacanze estive. Erano seguiti pianti disperati, urla, piatti rotti e porte sbattute, come in realtà spesso accadeva durante i loro incontri. Ma quella volta, Claudio le aveva rinfacciato anche la mancanza di coraggio, e i suoi limiti. Di donna, moglie e madre. Non si era mai spinto a tanto. Erano troppo diversi, c’erano troppi ostacoli. Lui detestava il mondo di Marta, così pieno di ipocrisie e vacuità, e lei era accecata dalla gelosia. Sapeva che Claudio vedeva altre donne. Amiche con cui discutere di politica e di arte, diceva lui. Lei, ovviamente, non credeva ad una sola parola. E volavano gli schiaffi, gli insulti, anche nei confronti di quelle cagne infami! Perdeva ogni ritegno, Marta, quando mandava a benedire le staffe. Ma anche questo- pensava Claudio – era un bene, una liberazione. Lei, però, continuava a esasperarlo con la sua gelosia morbosa.
” In fondo tu non hai tuo marito?”, gli rispondeva allora il suo amante impegnato con disprezzo. E quando lei si azzardava a dire che non era la stessa cosa, lui la provocava ancora. E ancora. Ed erano altre botte, altri piatti rotti.
“E allora lascia tutto e vieni via con me!”.
Marta non aveva quel tipo di forza, meglio sperare che Gustavo morisse di infarto o in un incidente. In fondo, erano cose che capitavano. Era successo alla sua amica Alba, ad esempio. E così Claudio la disprezzava per quei ragionamenti da ipocrita e lei disprezzava se stessa, a sua volta, per quei pensieri poco edificanti nei confronti dell’uomo che l’aveva salvata dalla disperazione e dalla fame. Ed ecco che ritornavano le lacrime, i sensi di colpa, i giuramenti. E poi l’amore.
Ma così non poteva continuare… la storia era nota.
Lo ripeteva sempre, Claudio. E le proponeva di trovare un altro amante o di nuovo una certa…devozione coniugale. Così lei si infuriava, sbatteva la porta e andava via.
Quella volta, però, Claudio non l’aveva seguita sul ballatoio. E lei era corsa giù per le scale, sotto lo sguardo onnipresente, indagatore e esasperato della portinaia, a cui nulla sfuggiva e stava sempre in agguato con la sua scopa, malefica scusa per la propria curiosità. Scappava con la gestualità accentuata di una diva retrò, con il rimmel che le colava sul viso stanco, i capelli scarmigliati, la zip del vestito sospesa colpevolmente a metà, il senso di umana sconfitta scolpito sul viso. Tutto sarebbe svanito prima di rientrare a casa, la recita doveva essere portata avanti nel miglior modo possibile, malgrado tutto. Ne andava della sua credibilità, del suo ruolo, del debito che aveva con Gustavo.


Claudio non l’aveva più cercata. E lei aveva ripreso a ingurgitare psicofarmaci. Suo marito si era accorto dei suoi scatti, dei suoi cambiamenti d’umore repentini, ma non ci badava troppo, convinto che fossero cose cicliche da donna… Michela, invece, aveva intuito che il malessere della madre aveva ragioni più profonde, più sinistre, pur non riuscendo a dargli un nome, avvolta ancora nel manto rassicurante dell’innocenza giovanile. Così, Marta odiava pure l’intelligenza acuta di Michela, quella figlia tanto diversa da lei e da Gustavo, che presto le avrebbe dato diversi grattacapi con la sua perspicacia e la sua volontà di ribellione. Meglio il mite Giuliano, così tenero e fragile. E non provò vergogna neppure per quella riflessione riprovevole, e poco materna. Non voleva pensare anche a quella battaglia con la figlia. Ci avrebbe pensato a suo tempo.
E sbuffò. Quanto mancava al Forte?


La A-11 , inaugurata il 6 agosto 1932, era ormai solo uno dei simboli della modernità, del boom economico, dello sfolgorante benessere di quegli anni. Un’illusione pagata a caro prezzo come aveva dimostrato il film “Il soprasso”. Eppure, di strada da quel lontano 1932, ne era stata fatta. Era stata fatta davvero?, e il tono della sua voce interiore – realizzò con una punta di orrore, Marta- per un attimo divenne simile a quello irriverente di Michela. Però sua figlia aveva ragione. Allora come oggi, la gente ballava sulle note di una falsa melodia allegra, sostenendo vincente il proprio tempo. Poveri illusi! Forse lo era anche lei. E della peggior specie.
E poi, improvvisa, mentre pensava a sua figlia, quella smania prese il sopravvento. Doveva sentirlo. A qualsiasi costo.
“Alla prossima stazione di servizio, fermati. Devo telefonare a mamma”.
Gustavo sbuffò e i ragazzi pure. Avevano già preso appuntamento, quel pomeriggio, con i figli dei Del negro e non volevano fare tardi.
“Fai presto, cara”, disse con tono conciliante Gustavo, cercando di rabbonire anche i ragazzi che fremevano.
Ed eccola, finalmente, come un miraggio, la stazione di servizio. Il telefono era lì, a pochi metri da lei!
“Mamma, mamma, possiamo prendere una Coca-cola mentre chiami la nonna?”, le chiese Giuliano. E via a dirlo una, due, tre , quattro volte… Ma lei ormai non ascoltava più. C’era solo quel telefono.
“Mah sì, sì… Gustavo, pensaci tu”.
“Noi andiamo al bar. Sbrigati, cara!”, tornò a ripeterle suo marito, una volta che tutti erano scesi dall’auto in sosta. E guardò l’orologio come se avesse fretta. “Un vezzo da imprenditore”, come era solita dirgli Marta nei momenti buoni, quando vi era nelle sue parole una dolcezza quasi simile all’affetto. Ma adesso lei per lei c’era solo quel telefono. Cercò freneticamente un gettone nel portafoglio, ne aveva sempre una discreta scorta. Afferrò la cornetta come se ne andasse della sua vita. Non aveva bisogno di cercare nell’ agenda, ricordava il numero a memoria. Il telefono squillò e lei restò in trepidante attesa, con lo stesso batticuore della prima telefonata, della prima volta. Avrebbe risposto?, si chiese Marta.

Infine, qualcosa spezzò l’aria asfissiante di quel caldo agosto inutile. La sua voce.
” Sono io, non riattaccare”.
“Marta, non pensavo di sentirti.- una lunga pausa dispettosa- Sei già partita? Come stai?”.
” Amore mio, è tutto così sbagliato…sono passati pochi giorni e mi sembra già un’eternità! Credevo di impazzire. Dovevo sentire la tua voce”. Claudio non poté fare a meno di sorridere. Era stata sempre così melodrammatica! E lui l’amava anche per quello.
“Mi perdoni, dimmi che mi hai perdonato…caro, caro, caro…”. E si ritrovò quasi a baciare la cornetta, con le lacrime agli occhi e un’isteria crescente. Doveva darsi un contegno. Per i ragazzi.
“Non c’è nulla da perdonare, abbiamo solo strade diverse da percorre. Lo sappiamo entrambi”.
“No, no, no. Non può finire, non deve finire. Non adesso. Ascolta, questa maledetta estate finirà presto. I ragazzi e Gustavo torneranno alle loro vite, ai loro affari e noi… “.
“Noi, cosa? E poi, Marta?”

Già… E poi?
“Non ci pensiamo adesso, vuoi? Nessuno conosce il futuro. Ma so che voglio te. Più di ogni altra cosa al mondo”.
Claudio rise beffardo: “Quanto sei bugiarda! Tu vuoi il tuo piccolo universo borghese più di me. Senza quello, non sapresti cosa fare del resto della tua vita”. Era proprio così. Marta non poteva farci niente, ma questo non rendeva meno forte la passione che nutriva per lui.
“Insultami quanto vuoi, non mi importa. Ti prego, amore mio… non ti manco già?”.
“Tantissimo. Eppure, questo non modifica lo stato dei fatti. Marta, la nostra è una situazione senza futuro, un’aporia, lo capisci anche tu…Per quanto possiamo andare avanti? Un paio di settimane, qualche mese? Non lo so, ci devo pensare. Non sono cose che si decidono così, con una telefonata…”. Prendeva tempo per non affrontare anche i suoi di demoni interiori, perché senza quel batticuore, senza il brivido proibito di quegli incontri e delle baruffe, anche a lui tutto sembrava inutile. Persino le battaglie politiche. Che macchiette, che erano!, pensò con un moto di stizza l’impegnato Claudio!

“Torneranno, le liti, i dispetti, le gelosie, le difficoltà quotidiane…”, concluse.
“Perché devi essere così razionale, tu?! – gridò Marta – Non mi importa. Non mi importa di nulla”.
“Ah, no?”, riprese Claudio, questa volta con tenerezza.
“‘No. Senza di te, non sento nulla. Voglio ancora quel brivido. E tu, tu, scrittore impegnato dei miei stivali, mi ami almeno un po’?”. “No”. E rise. Si ritrovarono a scambiarsi parole d’amore come se niente fosse cambiato, come se quella porta sbattuta, le parole, le offese reciproche, la fede nuziale al dito di lei, non contassero davvero più nulla, vivendo di nuovo sulla pelle quel brivido che Marta bramava come si desidera l’acqua nel deserto, quell’amore segreto, giunto imprevisto, fingendo che non sarebbe mai arrivato al capolinea. Ma doveva giungere. Era inevitabile.
“Ora devo andare. Stanno tornando i ragazzi. Verrai, verrai al Forte per qualche giorno, amore mio?”. Claudio immaginò la scena nella sua testa, senza recitarla a voce alta: Ti vedrò, un volto alla Capannina, come se fosse la prima volta? Così, ci guarderemo negli occhi da lontano, come due sconosciuti. Tu sorriderai di nascosto e il giorno dopo, verrai da me, nella mia squallida camera d’albergo, inventando un appuntamento con un’amica o con la parrucchiera, per ricominciare….ancora e ancora? Come sai mentire bene, tu… . Ma erano solo pensieri, il cuore aveva già deciso. E prima che la testa formulasse l’unica risposta corretta, l’unico ragionamento sensato per quel genere di storie, si ritrovò a dire: “Sì”.
L’amore era così. Feroce. Insensato. Giovane. Matto. Davvero tutto matto! Eppure, era così che si continuava a vivere in un mondo crudele. Avrebbero seguito la corrente, un giorno dopo l’altro, incuranti del tempo, delle tempeste e di quel finale temuto.
Marta udì la voce di Gustavo richiamarla all’ordine.
“E andiamo, Marta!!”
La brava moglie sospirò. “Devo andare. Arrivederci, allora”.
“Arrivederci”. E riattaccarono all’ unisono.
Con i nervi pacificati, Marta prese una sigaretta dalla borsa e l’accese senza fretta. Gustavo avrebbe aspettato. E con lui, i ragazzi. Finalmente, sorrise. In lontananza, la radio di un’auto in sosta diffondeva le note struggenti di una nuova canzone, “Se telefonando”. Cullata dalla voce di Mina, la signora dei Parioli chiuse gli occhi e per un attimo si sentì leggera, pregustando la gioia di quell’imminente incontro furtivo. E non ebbe dubbi. Era quella la felicità.

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Progetto grafico di EleArt in copertina: “Estate”, Screenshot con l’immagine di “Her secret life” di Jack Vettriano.

Logo della rubrica: “Reinventando Modigliani”, disegno di Eleonora Belfiore, 1999

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