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Da qualche parte, a mezzanotte…

Questa immagine Hopper non l’ha mai disegnata. Eppure, mi piace pensare che sia rimasta lì, sospesa come gli incubi e le promesse non mantenute, nella sua mente.

Uomo difficile Hopper, che non si lasciava definire.

È bislacco pensare che proprio loro, le creature più infingarde al mondo, gli scrittori, siano poco o addirittura per nulla presenti nella produzione di questo artista che più di tutti ha saputo cogliere e descrivere le dicotomie e le nevrosi della modernità.

Ma accadono cose strane in questa nostra vita traballante, è risaputo.

Anche l’idea della kokeshi nasce in una camera d’albergo, intorno alla mezzanotte.

In una di quelle notti strane, interminabili, quando il passato rincorre il presente per dar vita a una dispettosa sciarada. Una di quelle notti, insomma, dove tutto ti sembra perduto, la malinconia prende il sopravvento e non sai più dove sbattere la testa. Avete presente, no?

Ma certo che lo sapete, ci siamo passati tutti.

Dentro di me, una voce ronzava e continuava a chiedere, martellante come una strofa dei Metallica, “Hey, dov’è finito il mio lieto fine?”

E intanto, più passavano i secondi, i minuti, le ore, più comprendevo che, probabilmente, non lo avrei mai ottenuto. La fortuna non è mai stata particolarmente gentile con me. E anche questo è un fatto. Tuttavia, mi dissi, questo non implicava necessariamente la mia di fine. Dovevo andare avanti e cercarne un’altra storia. Così, ho iniziato a prendere la penna e a buttare nero su bianco la lista dei buoni propositi. No, non quelli che si fanno tragicamente a Capodanno come marinai alla deriva dopo troppi Vat 69.

Volevo mettere in pratica i propositi, quelli veri, cercando di evitare la nota stonata che puntualmente e maleficamente compromette un’esecuzione altrimenti perfetta. O, invece, come è tipico mio, andandoci volutamente a sbattere, perché – in ultimo – è l’imperfezione a dare valore sublime alla nostra esistenza. Sì, perché a certo punto ho compreso che era la battaglia, il graffio della pantera, l’unico antidoto, la cura, a quel vuoto spaventoso che sentivo dentro.

Lʼidea della kokeshi blu nasce dal desiderio di onorare queste note stonate, le cicatrici che ci portiamo dietro e di trasformarle in eroico monumento, di riscoprire e far riscoprire la Bellezza. Di trovare un rimedio alla volgarità che ci circonda.

Un intento ambizioso e di certo non esaustivo, che è anche la risposta irriverente ai tanti blogger che cavalcano e alimentano lʼonda, a suo modo affascinante dal punto di vista sociologico, dellʼhorror vacui, che si nutre di insulsi oggetti feticcio prodotti in angoscianti serie parossistiche, simboli esasperanti ed esasperati di una società completamente allo sbando, che ha dimenticato il valore dellʼarte e della cultura.

Così, questo blog è lo spazio di un Sogno, delinea una Rinascita in una giungla ostile e che comincia con la metafora di una graziosa pupa.

La kokeshi è la tradizionale bambola di buon auspicio in legno del Sol Levante. E’ un simbolo di rinascita. Di amore. Di prosperità. Contro la cattiva sorte che non concede requie. Il procedimento che porta alla creazione di questo piccolo capolavoro artigianale, è semplice ma lungo e scrupoloso. Come si conviene alle cose davvero importanti. Devo confessare che il blu non è il mio colore preferito, eppure l’ho scelto ugualmente come filo conduttore del blog.

Il motivo? In Giappone, questo colore rappresenta la caducità delle cose e, con essa, lʼinevitabile melanconia, lʼevoluzione insita nella transitorietà, ciò che è ancora acerbo e in divenire. Un po’come il cammino dellʼEremita, la carta dei Tarocchi – altra mia grande  passione – associata, forse non casualmente,  al mio segno zodiacale (Vergine). Soprattutto, il Blu è Donna.

E poi, in questo blog coloratissimo (come lo sono stati gli anni Ottanta), si parla di autunno, dei tanti autunni che rendono unico e suggestivo il nostro cuore. Che è sempre, in ogni tempo e in ogni luogo, strabiliante. Basta crederci per davvero.

Segui la magia, lettore. Ovunque essa sia. Anche tra le pagine di un vecchio libro. Ti porterà in posti inaspettati. E che sia in Antartide o alla Martinica, poco importa. Tu continua a sognare.

Credits e dintorni…

E concludendo, i ringraziamenti.

Innanzitutto, un grazie a mia sorella Sara,  piccola ma non troppo webmaster in erba ed esperta in sogni grafici. Senza i suoi consigli tecnologici, mi sarei letteralmente smarrita nella Grande Rete. 

Resto umilmente ancorata al mio piccolo mondo analogico, ma so che i tempi cambiano, come raccontava splendidamente Bob Dylan in una nota canzone.  E, last but not least – come dicono gli Americani –  gli amici che hanno supportato con affetto la nascita di questa bizzarra creatura, venuta al mondo fra mille paure, incertezze ma anche inseguendo la promessa salvifica di un tempo migliore. Per tutti noi.

Soprattutto, dedico questo blog a chi, dietro le quinte, mi ha aiutato a spiccare il volo, incitandomi a non dimenticare la grande lezione di un antico proverbio nipponico: cadere sette volte, rialzarsi lʼottava. E ai cavalieri che salvano.

E ora che gli Arcani sono stati svelati, che sia per un minuto o per unʼora, visitatore di passaggio intorno alla mezzanotte, sei il benvenuto nei domini della kokeshi blu.

Basta solo che tu sia imperfetto. Come lo sono io.

E’ mai esistita quella camera d’albergo, ti starai infine chiedendo?

Certo che no. Ma si sa, è bene non fidarsi mai degli scrittori. Sono come gli stregoni. Mentono sempre.

Buon viaggio, sognatore!

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