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ʻʻSpecchio specchio delle mie brame, chi è la più bella del reame?ʼʼ

La celebre domanda della Regina Cattiva  è la trappola per uccelli nella quale, inevitabilmente, ogni donna (e non solo), prima o poi finisce. Non si tratta semplicemente del bisogno un po’ infantile di primeggiare, come vorrebbe farci credere con un pizzico di (voluta?) ingenuità la bella fiaba dei Grimm ( il cui unico difetto è quello di non aver esplorato a fondo i reali motivi del rancore della crudele Matrigna). Il quesito invece riflette le inquietudini legate alla necessità atavica di piacersi, di sentirsi appagati, realizzati, di sfuggire agli Artigli del Tempo, sapendo bene che è impossibile.

Che cosa cerchiamo di ottenere con questa domanda, di sovente ripetuta in modo ossessivo? Un palpito di vita, la capacità, la forza, di alimentare costantemente lo spirito dionisiaco, una fiamma che non può mai spegnersi, pena il vortice caotico della/ delle nevrosi, la possibilità lusinghiera di di riflettersi, nel bene e talvolta nel male, nell’altro, di sognare ancora. Perché senza sogni, senza la passione, senza la dimensione del magico, nel senso più ampio del termine, come diceva Einstein, siamo tutti morti.

Ma lo specchio rivela una natura fallace, ingannevole, promette più di quanto riesca poi a donare e mostra i giorni del passato. Gli stessi che condizioneranno quel futuro che da qualche parte è stato già scritto ed è la somma di tutti i momenti già trascorsi. Perché lo Specchio non mostra quasi mai chi siamo veramente, ma il mostro che vive nello sguardo altrui e ciò è alla base di innumerevoli tragedie.

Il tema dello specchio, nellʼarte e nella letteratura, ha incredibili valenze che spaziano dalla psicoanalisi allʼindagine sociale ed è impossibile non associarlo ad una donna enigmatica che ha attraverso i secoli e ha suggestionato artisti e scrittori.

Dalla fantasia alla realtà

Stiamo parlando di lei, la Regina Cattiva, Grimilde, la terribile fattucchiera esperta di arti oscure e rituali proibiti. Una signora che occupa un posto speciale non solo nel cuore (e negli incubi) di tanti autori e lettori, ma anche nella storia dell’arte.
“Tra tutte le donne della  storia dell’arte, quella con cui andrei a cena è Uta di Naumburg” , scrisse qualche tempo fa Umberto Eco.
Ma chi è Uta di Naumburg?
Il nome, ai più, potrà dire poco e invece…
Situata nelle cappelle absidali del coro della cattedrale romano-gotica di Naumburg, oltre le sette colline fatate, verrebbe da dire con un sorriso bonario, in Germania, giace nel suo sonno immortale e un po’ sornione, la statua della margravia (titolo corrispondente, in italiano, al nostro “marchesa”) Uta degli Askani di Ballenstedt, più nota come Uta di Naumburg.

Di questo personaggio storico, abbiamo poche notizie. Uta nacque nel castello di Ballenstedt, nell’attuale Sassonia-Anhalt, attorno al 1000, e morì a Meißen il 23 ottobre 1046. Era figlia del conte Adalberto di Ballenstedt, appartenente a una famiglia di origine polacca, gli Askanidi di Ballenstedt. A ventisei anni, molto tardi per gli standard dell’epoca, sposò il quarantunenne margravio di Meissen, Eccardo Il. Il matrimonio non fu particolarmente felice. La coppia non ebbe figli e la donna morì nello stesso anno del marito, a causa di un’epidemia. Qualche anno prima della sua prematura dipartita, fu al centro di uno scandalo. La sua passione per la conoscenza e per il soprannaturale la marchiarono come strega agli occhi del popolo. Venne denunciata pubblicamente per alcune pratiche oscure, non meglio precisate. Affrontò un processo per stregoneria. Fu assolta, grazie al suo elevato rango sociale, ma l’ombra del dubbio rimase. Anche il marito la riteneva colpevole. Che cosa faceva Uta – continuò a chiedersi Eccardo fino alla fine – nei suoi appartamenti privati, nelle stanza segrete dove forse consultava sfere di cristallo e libri di astronomia e di magia? Magari la marchesa sognava soltanto una vita migliore, di essere una donna libera. O inseguiva quell’immortalità, quell’eterna giovinezza che uno scultore le avrebbe poi regalato quasi per caso.

Infatti, qualche secolo dopo, un certo Walt Disney era al lavoro per creare il primo lungometraggio animato della storia cinematografica, Biancaneve. Se l’ispirazione per la candida protagonista della fiaba dei Grimm arrivò rapidamente (venne scelta come modello la sbarazzina Betty Boop), quella per l’antagonista, la Regina Cattiva, fu decisamente più travagliata. Dopo vari schizzi, uno dei disegnatori della produzione, Wolfgang Reitherman, raffinato esperto d’arte, consigliò a Walt Disney, in procinto di recarsi in Europa, di visitare la cattedrale di Naumburg. Lì – Wolfgang ne era certo – avrebbe trovato il volto della sua crudele incantatrice. Fu davvero amore a prima vista. E ricambiato con gratitudine. La bella Uta, ribattezzata nel film Grimilde, avrebbe portato fortuna a Walt Disney, dando un contributo fondamentale alla riuscita della pellicola.

Posizionata di fianco alla statua di suo marito, raffigurata in un gesto tipicamente aristocratico, mentre copre parzialmente il volto con la veste, quasi a voler distanziare se stessa dallo sguardo indiscreto della gente, o forse per esaltare, civettuola, il suo candido ovale perfetto, Uta continua a guardarci altera e inarrivabile, vincendo così la scommessa contro il Divenire che tutto logora e riuscendo nell’ambita impresa di mettere, infine, sotto scacco il genio dello Specchio.

L’immagine in alto è stata presa da: https://it.wikipedia.org/wiki/Uta_di_Ballenstedt_(statua)#/media/File:Naumburg-Uta.JPG

L’immagine di Grimilde è uno screenshot preso, nel rispetto della normativa vigente, da: https://it.wikipedia.org/wiki/File:Grimilde.jpg

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