
Ci sono momenti in cui la vita sembra accanirsi, colpo dopo colpo.
Le certezze si incrinano, e anche chi è sempre rimasto saldo finisce per piegarsi sotto il peso delle prove.
A volte le ferite vengono da eventi che spezzano il cuore, altre dagli sguardi, dal giudizio, dalle parole taglienti, da chi condanna senza appello, da chi credevi ti avrebbe capita o da chi conosce i retroscena e le motivazioni e sceglie ugualmente di condannare. E altre ancora si sperimentano entrambe le opzioni contemporaneamente. Allora, il veleno è purtroppo più subdolo e imprevedibile.
È tra i dolori più profondi e difficili da descrivere quello che nasce non dalla colpa o dal rimpianto, ma dall’incomprensione. Del destino, degli eventi, delle cose che sono state, di quelle che ritornano malgrado i nostri sforzi con quella puntualità rigorosa che può appartenere solo al destino quando è ostile e crudele, di quelle che potevano essere e non sono state per una curva sbagliata.
Sembra che non ci sia più spazio per spiegazioni, per un secondo tempo, né per quelle attenuanti che la vita dovrebbe riservare a chi ha cuore limpido.
Capita, a volte, che la vita scelga di colpire così, proprio quando qualcuno sta già cercando di ricostruirsi, nel silenzio di una lunga notte nordica, con consapevolezza che un pezzo di strada è finito. E le voci di fuori, come corvi.
Quando ogni passo avanti è già una vittoria e la vita decide di farti inciampare ancora, una parte di te si spegne. Per sempre. Ma è solo una parte, non il tutto.
Nella tempesta, ci si scopre fragili, esposti, sconfitti. Eppure, ancora indomiti.
La foglia cade, ma non muore.
Che stagione meravigliosa è l’autunno. Ti insegna che la fine può essere dolce e necessaria, che anche la caduta può avere grazia.
Guardi le foglie staccarsi dai rami — leggere, imperturbabili, fiere nel loro destino. Cadono senza ribellarsi, non si oppongono alla grande onda, l’assecondano, eppure nessuna di loro muore davvero: diventano parte della terra, la nutrono, la preparano a una nuova vita. Oppure si lasciano trasportare dal vento verso un’altra storia.
Anche queste sono opzioni. Entrambe plausibili, insindacabili, immutabili. E caritatevoli.
Nelle sere d’autunno, lo sguardo si fa più stanco, ma anche più vero. Perché si comprende che non tutto può essere spiegato e non a tutto c’è spiegazione.
La forza non è nell’essere invulnerabili, ma nel preparare una metamorfosi. Per riuscire a rialzarsi ancora. Per rinascere. Anche con le cicatrici.
Perché a volte la vita ti mette alla prova proprio quando stai risorgendo per farti capire che la luce non dipende più da ciò che accade fuori, ma da ciò che scegli di tenere acceso dentro di te.
Si cade come foglie d’autunno.
E ci si risveglia come germogli.
Un giro di giostra e si torna sotto lo stesso cielo stellato.

